13.7.23

Anilox e densità di stampa

“Per aumentare o diminuire la densità dei pieni in stampa flexo basta cambiare il rullo anilox con uno di volume diverso e siamo apposto.”


FALSO!

Una delle pratiche più diffuse presso gli stampatori flexo é quella di cambiare il rullo anilox alla bisogna, sostituendolo con uno di portata maggiore o minore, allo scopo di modificare la densità dei pieni del lavoro in macchina. Questa pratica è una scelta suicida per lo stampatore ed irrispettosa verso tutta la filiera della gestione colore.

Quando il macchinista non riuscendo ad ottenere le giuste densità in stampa decide unilateralmente di cambiare il rullo anilox, sostituendolo con uno diverso da quanto precedentemente prestabilito, con questa sua scelta innesca inevitabilmente tutta una serie di problematiche a catena, problematiche dalle quali é poi impossibile uscirne senza dover necessariamente scendere a compromessi qualitativi nella resa cromatica del lavoro stampato.

Da dove deriva questa pratica così diffusa?
Sembra quasi banale dirlo, ma questa pratica nasce e si diffonde grazie alla sua “semplicità” d’attuazione.
Per capire meglio quanto appena affermato, dovete sapere che in un sistema di stampa flessografico i fattori che influiscono maggiormente sulla densità dei colori pieni sono essenzialmente due, ossia:
  • la formulazione degli inchiostri
  • il rullo anilox in uso

ATTENZIONE, questi due fattori benché molto importanti NON sono gli unici in grado di influenzare le densità dei pieni ma, tenendo fermi gli altri componenti del pacchetto di stampa quali il biadesivo ed il cliché (con tutte le relative caratteristiche di retinatura e micro retinatura), inchiostri ed anilox sono le variabili su cui il macchinista ha la possibilità di agire con più semplicità durante l'avviamento del lavoro.

Per capire meglio il problema, dobbiamo focalizzarci sul fatto che durante l'avviamento del lavoro l’atto di cambiare un rullo anilox comporta un fermo macchina di soli 5 minuti al massimo; mentre l’atto di riformulare gli inchiostri comporta invece un fermo macchina decisamente più lungo, articolato e complesso.

Quindi, di fronte alla prospettiva di poter cambiare un rullo anilox in soli 5 minuti, oppure di dover:
  • fermare tutto
  • scaricare gli inchiostri
  • riformulare gli inchiostri
  • pulire la macchina da stampa
  • ricaricare i nuovi inchiostri
e solo dopo tutto questo lavoro poter ripartire in stampa… beh, voi cosa fareste?

Esatto, fareste anche voi la cosa sbagliata, ossia cambiereste anche voi il rullo anilox!

Vediamo ora in dettaglio perché il cambio dell'anilox risulta essere una scelta di facile soluzione, ma nel contempo tecnicamente suicida ed irrispettosa verso gli altri.

É suicida perché è vero che il cambio del rullo anilox cambia inevitabilmente il volume dell'inchiostro trasferito sul supporto stampato, ottenendo così il desiderato aumento della densità in stampa, MA contestualmente agisce anche sullo schiacciamento del punto (TVI). Nell'esempio qui sotto vediamo come passando da un anilox #420lpcm V3,8 ad un #320lpcm V5.0 si ottenga una maggiore densità del colore nei pieni (raggiungendo così lo scopo prefissato), ma contestualmente si ottenga anche un significativo aumento indesiderato del mezzotono (TVI).
Vedete come agendo sul rullo anilox si siano ottenute le densità dei pieni volute, ma si è agito anche involontariamente sullo schiacciamento del punto, portandolo fuori specifiche. La scelta del cambio anilox è accettabile solo ed esclusivamente se questa NON altera eccessivamente la cromia degli inchiostri base nè determina uno schiacciamento del punto fuori specifiche.

Certo, è sempre possibile decidere di procedere comunque alla tiratura del lavoro scendendo a compromessi ed accettando ∆E più ampi e/o una cromia del lavoro più distante rispetto a quanto desiderato ma, ovviamente, questa scelta va sempre concordata fra committente e stampatore.

La scelta del cambio anilox presa in modo unilaterale è irrispettosa verso gli altri attori della filiera colore perché tutto il lavoro svolto in prestampa ed in preparazione polimeri è stato fatto basandosi sui dati di ottimizzazione, fingerprint e caratterizzazione forniti loro in precedenza, che comprendono:
  • il colore Lab degli inchiostri
  • lo schiacciamenti del punto (TVI) della macchina da stampa
Questi dati vengono ottenuti per ogni specifica condizione di stampa. Nel momento stesso in cui il macchinista decide arbitrariamente di sostituire il rullo anilox prestabilito (allontanandosi così dalla condizione dichiarata in precedenza), decide anche nello stesso momento di alterare la condizione di stampa e di conseguenza di alterare i parametri di colore degli inchiostri e lo schiacciamento (TVI) prestabiliti. Quando la decisione del macchinista porta a stravolgimenti eccessivi della condizione di stampa, questa annichilisce inevitabilmente anche TUTTO il lavoro svolto da chi sta' prima di lui nella filiera del colore. La scelta del cambio anilox è accettabile solo ed esclusivamente se questa NON altera eccessivamente la cromia degli inchiostri né lo schiacciamento del punto desiderati.

Anche se potrebbe sembrare controintuitivo, la scelta migliore dovrebbe essere invece quella di più difficile attuazione che comporta il fermo macchina più lungo, ossia quella di mantenere inalterati i rulli anilox ed agire invece sulla formulazione degli inchiostri. Quando a parità di anilox non riuscite ad ottenere le densità in stampa desiderate, la domanda di base da porsi è sempre la stessa:

"In passato questi anilox mi hanno dato i pieni desiderati, perché oggi non dovrebbero essere in grado di riprodurre nuovamente gli stessi risultati? Quali variabili sono cambiate nella condizione di stampa?"

Se pensiamo alla qualità in stampa come al risultato ottenuto dalla sommatoria di diversi fattori, capite bene come cambiare il rullo anilox, invece di semplificarvi il lavoro, aggiunga solamente una nuova variabile alla risoluzione del problema.

Nell'esempio qui sotto vediamo come mantenendo fermo il rullo anilox da #420lpcm V3,8 ed agendo invece sulla formulazione degli inchiostri, si riesca ad ottenere sia la densità del colore che lo schiacciamento del punto desiderati.
Agendo sulla formulazione degli inchiostri abbiamo riportato la condizione di stampa nelle specifiche dichiarate in precedenza, senza aver alterato lo schiacciamento in macchina (TVI).

Ultimo ma non meno importante aspetto: il cambio anilox indiscriminato é una pratica difficilmente accostabile alla stampa ECG (Expanded Color Gamut). Nelle separazioni colore fatte in esa/eptacromia la costanza dello schiacciamento (TVI) è un aspetto fondamentale per il raggiungimento della resa cromatica generale del lavoro. Nella stampa ECG infatti tutti i colori non sono mai formati da tinte piatte specifiche, questi derivano invece dalla sommatoria dei 6 o 7 colori di base usati nella ricetta colore scelta in prestampa. Capite bene quindi come anche lievi variazioni dello schiacciamento (TVI) si riflettano inevitabilmente in possibili stravolgimenti della cromia globale del lavoro.



Buona gestione del colore.

22.6.23

Murray-Davies o Color-Tonal-Value?


"Per fare un buon avviamento macchina basta avere un dot-gain del 15% / 18% e siamo apposto."

FALSO

Al giorno d’oggi misurare il dot-gain con la formula Murray-Davies e non usare CTV è come spostarsi in calesse invece che in automobile. Vediamo vantaggi e svantaggi di questi due metodi di misura dell'incremento del punto.

Murray-Davies

  • M-D fonda le sue basi nella valutazione delle pellicole fotografiche dei primi anni del novecento (1936).
  • M-D è una formula basata sulla densitometria e non sulla colorimetria.
  • M-D funziona bene SOLO per gli inchiostri CMYK, se usata con altri colori ci porta fuori strada.
  • M-D funziona bene SOLO entro uno specifico range di densità da 1.20 a 1.60 circa, al di fuori di queste ci porta fuori strada.
  • Quando lavoriamo in M-D i target possono variare moltissimo (dal 14% al 28%), tutto dipende dalla curva target usata in ogni specifica condizione di stampa. Ad ogni avviamento il macchinista deve fare molta attenzione e sapere con precisione quali siano gli schiacciamenti definiti da chi sta prima di lui nella catena del colore (grafici e prestampa) per poterli riprodurre correttamente in stampa. Questa alta variabilità del dot-gain porta ad un' alta insicurezza e fallacità dei risultati ottenuti in stampa.

CTV

  • CTV è una formula basata sulla colorimetria e non sulla densitometria.
  • CTV funziona con qualsiasi tinta, quindi anche quando lavoriamo con le tinte piatte o lavoriamo in ECG (Extended Gamut Printing).
  • CTV essendo una formula colorimetrica, funziona bene con qualunque densità d'inchiostro. 
  • Quando lavoriamo in CTV i target in stampa sono sempre lineari (50% = 50%) indipendentemente dal supporto stampato. Il macchinista deve solo verificare la linearità del dot-gain senza sapere quali target siano stati usati in prestampa. Questa linearità nella verifica del dot-gain garantisce una maggiore sicurezza dei risultati ottenuti in stampa.
  • Ultimo ma non meno importante CTV è una norma ISO (ISO 20654:2017).


Vi faccio un esempio pratico in prestampa.

Lavorando in M-D, durante il processo di ottimizzazione del sistema di stampa (le cosiddette curve) e durante la fase di profilazione ICC, il reparto prestampa deve usare curve target sempre diverse che variano in base alla condizione di stampa.

Questa estrema variabilità del sistema porta a facili incomprensioni ed errori fra reparto prestampa e stampatore.


Vi faccio ora un esempio pratico in sala stampa.

Lavorando in CTV, lo stampatore controlla lo schiacciamento senza doversi porre il problema della curva target, questa problematica semplicemente non esiste in quanto la curva target da usare sarà sempre e solo lineare (50% = 50%).


In ultimo, questo nuovo modo di leggere l'incremento di punto è disponibile già da 6 anni (fu pubblicata nel 2017). Tutti gli spettrofotometri oggi presenti sul mercato sono in grado di usare sia la formula M-D che la formula CTV senza alcun problema.

Quindi cosa vogliamo fare? Vogliamo aspettare altri 6 anni prima di iniziare ad usare CTV in produzione? 😉

Buona misurazione dell'incremento di punto.

9.6.23

Densità o colorimetria?

"Per fare un buon avviamento macchina basta leggere le densità dei pieni e siamo apposto!"

 

"FALSO !"  

 

Al giorno d’oggi valutare solo le densità di stampa (e non la colorimetria), é come guidare con un occhio bendato. La densità vi dice la coprenza di un inchiostro ma NON vi dice quell’inchiostro di che colore é. I valori Lab invece vi dicono esattamente dove si trova nello spazio colore il colore del pigmento pieno (100%). C’è una bella differenza.

Nella foto seguente vediamo come a livello densitometrico (D) i diversi colori non siano molto dissimili fra loro, mentre leggendo gli stessi colori in colorimetria (Lab) capiamo al volo dove siamo posizionati nello spazio colore (cliccate sull'immagine per ingrandirla).


Vi faccio un esempio pratico. Se il Ciano che avete caricato in macchina é inquinato e vira fortemente al blu (come nell'esempio qui sopra), questo inchiostro sbagliato influirà negativamente su tutta la cromia del lavoro. Hai voglia poi a cercare di correggere lavorando solo di calamai…

Misurando la densità dei pieni potreste anche non accorgervi del problema dell’inchiostro in quanto la D non vi dice di che colore si tratta, ma vi indica solo la sua coprenza. Mentre se misurate in Lab saprete immediatamente quanto siete lontani o vicini al colore desiderato. In Offset agendo sui calamai il macchinista modifica principalmente il valore L del colore (e di riflesso anche a e b), ma nulla di più, non può fare miracoli. Se il colore in macchina ha dei valori ab troppo sbilanciati rispetto ai desiderata, ci si può sempre fermare, pulire tutto e riformulare l’inchiostro in modo corretto. Non sperate di fare miracoli e di correggere un inchiostro inquinato agendo solo sui calamai!

Se i pieni dei colori primari non rispecchiano i valori attesi per quella specifica condizione di stampa, ovviamente tutta la cromia risulterà falsata. Chi sta prima del macchinista nella catena del colore (i grafici e la prestampa) hanno preparato tutto ossia le curve, il profilo ICC, la prova colore etc, basandosi su dei valori Lab dei pieni, e quelli devono essere riprodotti in macchina da stampa; niente di più e niente di meno. Solo quando i valori Lab dei pieni sono ok possiamo allora poi verificare il registro, lo schiacciamento e tutto il resto.

La densità ovviamente é sempre comoda da usare per tenere sotto controllo la tiratura, quando si è certi che i valori Lab degli inchiostri siano in tolleranza.

Buon avviamento macchina.

3.5.23

Vent'anni di PDF/X (ed ancora non lo usiamo...)


In questa ultima parte di un articolo composto da quattro sezioni, Dov Isaacs fa una disanima sul perché dopo circa 20 anni, ancora troviamo resistenze all'uso del formato PDF/X-4.

In breve, i 4 motivi principali che concorrono alla lenta accettazione del PDF/X-4:

"1. Educazione e, soprattutto, formazione continua

L'istruzione è fondamentale per i creatori di contenuti, i fornitori di servizi di stampa e i fornitori di arti grafiche e prodotti di produzione di stampa. I comitati ISO possono sviluppare standard aggiornati incredibilmente utili, ma l'ignoranza dei fondamenti e dei progressi nello stato dell'arte per la grafica e la stampa da parte dei professionisti rende irrilevante la disponibilità e l'implementazione di tali standard.

2. Compiacimento

In un settore altamente competitivo e in rapida evoluzione, l'atteggiamento luddista del "se non è rotto, non aggiustarlo" serve solo come scusa debole per continuare a utilizzare processi e procedure obsoleti a scapito sia dei clienti che dei fornitori di servizi in termini di tempo, costi e qualità.

3. Scarsa documentazione e/o supporto

In concomitanza con impostazioni predefinite discutibili o persino tutorial "how-to" e "best practice", la scarsa documentazione esacerba i problemi di istruzione e compiacenza. Nei decenni precedenti si scherzava su RTfM, “leggi il bel manuale”. La creazione di contenuti per le arti grafiche, così come il software di controllo RIP/DFE, verrebbe fornita con la documentazione che spiega le impostazioni e le opzioni disponibili dei rispettivi prodotti. Tutorial e white paper che dettagliavano le migliori pratiche erano prontamente disponibili tramite download dai fornitori. Tale documentazione e tutorial sono stati nella migliore delle ipotesi seriamente ridotti principalmente a causa della riduzione dei costi e dell'errata percezione da parte di alcuni fornitori di non aver più bisogno di soddisfare l'industria della stampa.

4. Incolpare il cliente

Se il cliente è responsabile della conversione di tutti i colori in quadricromia CMYK più coloranti spot, nonché dell'appiattimento della trasparenza che produce PDF/X-1a, se l'output stampato non soddisfa le aspettative del cliente, il fornitore di servizi di stampa può incolpare il cliente. Questo è uno dei fattori per cui i principali fornitori di servizi di stampa richiedono ai clienti di inviare solo file PDF/X-1a. Quale parte del "servizio" non comprendono tali fornitori di servizi di stampa? Il rimedio a questo tipo di problema è un'area in cui le associazioni di stampa nazionali e locali dovrebbero assumere un ruolo attivo.
"

Link all'articolo:

PARTE I: https://pdfa.org/twenty-years-of-pdf-x/

PARTE II: https://pdfa.org/twenty-years-of-pdf-x-part-ii/

PARTE III: https://pdfa.org/twenty-years-of-pdf-x-part-iii/

PARTE IV: https://pdfa.org/twenty-years-of-pdf-x-part-iv/


Buona lettura.

22.3.23

BBCG - Un nuovo modo per definire il vostro brand-color


Siete stufi di trovare differenze cromatiche nel vostro il brand-color per i prodotti stampati?

Cercate un nuovo metodo per indicare chiaramente e con precisione a tutti il vostro brand-color?


Brand colors: dobbiamo farlo meglio… e, si possiamo farlo!


Da oggi esiste una nuova metodologia della definizione del colore, che lo specifica in maniera univoca e facilmente interpretabile da tutti gli attori della filiera del colore.

Potete scaricare la guida in italiano dal sito:

https://www.projectbbcg.guide/languages/


Buona definizione del colore.

21.3.23

Mezzo secolo di Pantone


È già mezzo secolo che tutti credono basti guardare un pezzettino di carta stampata per poi pretendere che quel colore venga riprodotto dagli stampatori esattamente così come loro se lo immaginavano, senza preoccuparsi del supporto di stampa, della tecnologia di stampa del retino usato in stampa etc etc etc; senza cioè preoccuparsi di nulla, solo perché nella scelta del colore avevano usato il “loro” pezzettino di carta stampata.

Finché tutti gli attori della filiera del colore non capiranno termini come “condizione di stampa”, “metamerismo”, “CxF”, “riproducibilità” e “tolleranze”… finché tutti gli stampatori non capiranno che il colore non si giudica “ad okkio” confrontando fra loro due pezzettini di carta, ma va invece accuratamente misurato usando parametri e tolleranze prestabilite, beh… fino a quel giorno continueremo ad assistere ad assurde “interpretazioni artistiche” sul banco macchina.

Pantone stessa oggi ribadisce che il vero colore di riferimento è solo quello digitale. Anche se vi ricordate? Ne avevamo già parlato qualche annetto fa... (http://artigrafiche.maurolussignoli.it/2011/11/la-mazzetta-pantone-non-e-piu-il.html)

La differenza fra il dato digitale e quello stampato può avere un ∆E₀₀ 2. Ne consegue quindi che la differenza fra due campioni stampati (due mazzette diverse) può essere di ∆E₀₀ 4.

La ricetta colore suggerita sulle mazzette è puramente indicativa, "[...] gli stampatori possono usare le loro ricette colore per ottenere tolleranze più piccole per un dato standard [...]". Possiamo quindi dire che... è il risultato stampato e misurato che conta, e non il seguire alla lettera la ricetta colore indicata sulla mazzetta.

8.1.23

72dpi ? Addio.


Nel "Catalogo delle mille viti" abbiamo sfatato il mito dei 300ppi (non dpi) considerati da molti quali unico parametro da prendere in considerazione per il sicuro ottenimento di una buona stampa.

Riassumiamo in breve:

  • NO! 300ppi non è sinonimo di file valido per la stampa.
  • DEVE sempre essere presa in considerazione anche la condizione di stampa (ossia la lineatura usata in stampa).
  • DEVE sempre essere presa in considerazione anche la dimensione in pixel dell’immagine da stampare.
I soli PPI del file, se non coadiuvati dalle dovute considerazioni, sono un parametro privo di alcun significato.

Sfatato il mito dei 300ppi, sfatiamo ora anche il mito dei 72ppi (non dpi) che taluni considerano ottimi per la fruizione a schermo.
Quanti PPI deve avere un'immagine per una corretta visualizzazione a monitor?
in breve:
  • NO il file NON deve essere a 72ppi.
  • 72ppi NON è la panacea di tutti i mali.
  • 72ppi NON significa nulla, se non prendiamo in considerazione anche la risoluzione del dispositivo di visualizzazione e la dimensione di visualizzazione desiderata su tale dispositivo (ossia la misura lineare dell'immagine).
Il "Catalogo delle mille viti", nella sua sezione dedicata alla visualizzazione, vi spiega che per  ridimensionare adeguatamente un'immagine, dovete necessariamente conoscere con esattezza la risoluzione del dispositivo (PPI) sul quale questa verrà visualizzata.
Da qui la domanda nasce spontanea:

“Ma come faccio a sapere che risoluzione avrà il dispositivo di visualizzazione?”

Beh, non lo saprete per certo, ma di una cosa dovrete essere certi… qualunque dispositivo venga utilizzato, questo NON avrà una risoluzione di 72ppi!

Se non ci credete date un'occhiata alla seguente tabella:

DispositivoX pixY pixDiag. "PPI
MacBook pro 15"1.680 1.050 15,0 132 
iMac 20171.920 1.080 21,0 105 
     
iPad 1st Gen1.024 768 12,9 99 
iPad 2nd Gen1.024 768 12,9 99 
iPad 3rd Gen2.048 1.536 12,9 198 
iPad 7th Gen2.160 1.620 12,9 209 
iPad pro2.048 1.536 9,7 264 
iPad pro2.224 1.668 10,5 265 
iPad pro2.388 1.668 11,0 265 
iPad pro2.732 2.048 12,9 265 
iPad Mini1.024 768 7,9 162 
iPad Mini2.048 1.536 8,3 308 
iPad Air2.048 1.536 9,7 264 
iPad Air2.224 1.668 9,7 287 
iPad Air2.360 1.640 9,7 296 
     
iPhone 3, iPhone 2480 320 3,5 165 
iPhone 4, iPhone 3960 640 3,5 330 
iPhone SE, iPhone 51.136 640 4,0 326 
iPhone 8, iPhone 71.334 750 4,7 326 
iPhone 13 mini2.340 1.080 5,4 477 
iPhone 8+, iPhone 7+1.920 1.080 5,5 401 
iPhone 11 pro, iPhone X2.436 1.125 5,8 463 
iPhone 13 pro2.534 1.170 6,1 458 
iPhone 11 pro Max2.688 1.242 6,5 456 
iPhone 13 pro Max2.778 1.284 6,7 457 
     
Galaxy S3720 1.280 4,8 306 
Galaxy S41.080 1.920 5,0 441 
Galaxy S51.080 1.920 5,1 432 
Galaxy S6/Edge1.440 2.560 5,1 576 
Galaxy S71.440 2.560 5,1 576 
Galaxy S7 Edge1.440 2.560 5,5 534 
Galaxy S81.440 2.960 5,8 568 
Galaxy S8 Plus1.440 2.960 6,2 531 
Galaxy S91.440 2.960 5,8 568 
Galaxy S9 Plus1.440 2.960 6,2 531 

In questa tabella sono riportate le risoluzioni reali e la dimensione in pollici di alcuni dispositivi presi a campione come telefoni, tablet e PC portatili. *Attenzione a non farvi fuorviare dalle risoluzioni virtuali e/o alternative che meritano un approfondimento dedicato, vedi note al piede di questo post.

Vista la tabella? Ottimo, ora ditemi se esiste ancora sul mercato qualche dispositivo che lavori a 72ppi. Ok, vi rispondono io; NO, non esiste.

“Quindi che senso ha preparare le immagini a 72ppi?”

Nessuno !!!

“Ma allora che risoluzione posso utilizzare?”

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo suddividere i desiderata del nostro progetto grafico in tre casistiche.


Qualità massima

I desiderata di questo scenario sono ottenere la massima qualità possibile ed eludere un ipotetico effetto di pixelizzazione delle immagini. Nella scelta dei PPI da usare dobbiamo essere conservativi e preparare il nostro progetto grafico per lo scenario con risoluzione maggiore possibile.
Così facendo saremo sicuri che il nostro progetto avrà un ottima qualità quando visualizzato su un dispositivo in alta risoluzione, mentre se visualizzato su un dispositivo avente una risoluzione inferiore, verrà ricampionato dal motore di visualizzazione (browser, PDF etc).
Riguardando la tabella di cui sopra vediamo che in media i dispositivi in alta risoluzione si attestano sui 570ppi.
L’aspetto negativo di questo scenario è dato dal peso delle immagini e dai relativi tempi di download e visualizzazione. In questo caso avremo decisamente dei tempi più lunghi rispetto allo scenario “Qualità minima”.


Qualità minima

I desiderata di questo scenario sono ottenere la massima leggerezza e reattività del file, anche a discapito della qualità di visualizzazione. Nella scelta dei PPI da usare dobbiamo focalizzarci sui dispositivi con risoluzione inferiore.
Così facendo saremo sicuri che il nostro progetto quando visualizzato su un dispositivo in bassa risoluzione, avrà una buona qualità ed un ottima fruibilità in termini di velocità, mentre se visualizzato su una risoluzione maggiore, verrà ricampionato dal motore di visualizzazione (browser, PDF etc) ottenendo un bassa qualità e nel contempo mantenendo un'ottima fruibilità.
Riguardando la tabella di cui sopra vediamo che in media i dispositivi in bassa risoluzione si attestano sui 100ppi.
L’aspetto negativo di questo scenario è dato dalla pixelizzazione delle immagini e dalla conseguente bassa qualità. In questo caso avremo decisamente dei tempi più corti di download e visualizzazione rispetto allo scenario “Qualità massima” e “Qualità media”.


Qualità media

I desiderata di questo scenario sono ottenere un buon bilanciamento fra massima qualità di visualizzazione e leggerezza dei files da scaricare/visualizzare. Nella scelta dei PPI da usare dobbiamo infatti trovare un buon bilanciamento fra dispositivi con massima risoluzione e dispositivi con minima risoluzione.
Così facendo saremo sicuri che il nostro progetto avrà una qualità media ed una media fruibilità in termini di velocità, sia quando visualizzato su un dispositivo in bassa risoluzione che quando visualizzato su un dispositivo in alta.
Riguardando la tabella di cui sopra vediamo che la media fra i dispositivi in bassa risoluzione e quelli in alta si attesta sui 290ppi. Il bilanciamento di questo scenario evita eccessivi effetti di pixelizzazione delle immagini e lentezza in download / visualizzazione. In questo caso non sfrutteremo mai la massima qualità di visualizzazione, ottenibile nel solo scenario “Qualità massima” e non avremo mai la massima velocità di fruizione ottenibile solo col lo scenario “Qualità minima”.


Considerazioni

Quanto fin qui descritto è assolutamente valido da un punto di vista squisitamente teorico, ma non tiene in dovuta considerazione un ulteriore importantissimo parametro.

Il potere risolutivo dell'occhio umano.

Ripassando alcuni appunti di ottica, scopriamo che esiste una semplice formula per calcolare la risoluzione necessaria ad una buona riproduzione grafica, che è la seguente:

risoluzione (PPI) = 8.733 / distanza_di_visualizzazione (cm)

Vedete come in questa formula l'unico fattore importante, al fine del calcolo della risoluzione dell'immagine da riprodurre, sia la distanza di visualizzazione, e non la lineatura od i dpi, essi sono necessari per calcolare la corretta rasterizzazione delle immagini, ma sono difficilmente correlabili al potere risolutivo dell'occhio umano.
Questa caratteristica fisica del nostro sistema visivo, fa sì che osservando un soggetto ad una certa distanza, il nostro occhio non sia più in grado di percepire i dettagli inferiori ad una certa misura. I pixel che comporranno l'immagine (o la lineatura del retino se parliamo di stampa), non dovranno essere più piccoli di questo valore dettato dal potere risolutivo.

Ipotizziamo di osservare un'immagine su un foglio A4 (o su uno schermo da 15" che è molto simile), per valutare la giusta distanza di visualizzazione basterà moltiplicare la diagonale del supporto (il foglio A4 od il monitor) per un numero compreso fra un minimo di 1,5 ed un massimo di 2.
La diagonale del foglio A4 è circa 36cm, quindi avremo una distanza di lettura minima:

distanza di lettura minima = 36 x 1,5 = 54cm

ed una distanza di lettura massima:

distanza di lettura massima = 36 x 2 = 72cm

da cui calcolare la distanza di lettura consigliata:

distanza di lettura consigliata = distanza di lettura minima + (distanza di lettura massima - distanza di lettura minima) / 2 = 54 + (72 - 54) / 2 = 63cm

Volendo essere un pochino conservativi consideriamo una distanza di visualizzazione un po' più ravvicinata (ossia 55cm) otterremo così la:

Risoluzione ottimale (PPI) = 8.733 / 55 = 159ppi

Usando questo valore come riferimento possiamo capire come la visualizzazione a monitor di un'immagine con una risoluzione inferiore farà notare al nostro occhio la famosa pixelizzazione, mentre usare immagini con più pixel del necessario, non comporterà nessun vantaggio in termini qualitativi, causando invece nel contempo un peggioramento di performance dovuto all'inutile peso del file.

Chiarito il dettaglio (espresso in PPI) visibile dal nostro occhio ad una data distanza, vi apparirà ora alquanto palese l'obsolescenza di chi sostiene ancora validi i 72ppi per la visualizzazione a monitor, non vi pare? 72 è ben lontano da 159.

D'altro canto, riguardando la tabella di cui sopra, potrebbe risultare anchesì anomala l'esagerata risoluzione disponibile nei nostri dispositivi portatili, i dispositivi più moderni adottano risoluzioni che oltrepassano facilmente i 400ppi. Per capirne il motivo ricordatevi di come il potere risolutivo si rifletta sulla distanza di visualizzazione delle immagini. Provate a chiedervi:

A che distanza osservo il mio cellulare? E quindi... quanti punti (pixel) per pollice riuscirò a distinguere a quella distanza?

Dist. (CM)PPI monitor 1:1PPI stampa 2:1
10087 175 
9097 194 
80109 218 
75116 233 
70125 250 
65134 269 
60146 291 
A4 - 55159 318 
50175 349 
45194 388 
40218 437 
35250 499 
Cell - 30291 582 
25349 699 
20437 873 
15582 1.164 
10873 1.747 
51.747 3.493 
18.733 17.466 


Appare chiaro ora come una visione più ravvicinata necessiti di una maggiore risoluzione (espressa in pixel per pollice - PPI) per evitare effetti indesiderati di blur o pixelizzazione delle immagini.

Ricapitolando, dopo aver considerato quanto sopra, chiediamoci infine:

Che risoluzione dovranno avere le immagini per una corretta visualizzate al cellulare?

Al netto di ingrandimenti e di misure in pixel adeguate, un buon compromesso per non incorrere in una eccessiva pixelilazione o blur delle immagini è lavorare con valori che vanno dai 200 ai 300ppi (in un ottica sempre conservativa).

“Ma 300ppi non erano gli stessi che credevo validi per la stampa a 150 linee per pollice?

Riguardate un attimo la tabella qui sopra, ricordandovi però che la risoluzione richiesta per una buona riproduzione in stampa di un'immagine retinata è grossomodo il doppio della lineatura; e saprete sicuramente darvi da soli la risposta al vostro quesito.
 
In fin dei conti cambia il media di visualizzazione (carta o dispositivo mobile), ma è sempre il potere risolutivo dell'osservatore a dettare legge, e questo varia in base alla distanza di lettura.

Buon ricampionamento delle immagini.


* qui alcuni approfondimenti sui display Retina e Density-independet pixels: